Buon venerdì, quello di Sanremo.
Sono del team “non me lo perdo” per almeno tre ragioni.
Mi ricorda le serate a casa dei miei genitori con mia sorella e mia mamma. Ero una ragazzina e mi porto dentro quei momenti con affetto.
Per anni, in passato, mi sono occupata di spettacoli: ho seguito dalla sala stampa dell’Ariston l’ultimo Sanremo presentato da Pippo Baudo. Un’esperienza particolare che resta forte in me.
E infine: trovo rappresenti uno spaccato sociale e culturale del nostro tempo. Si potrebbe ricostruire la storia del nostro Paese attraverso le edizioni di Sanremo.
Ne aggiungo un’altra. Significativa per questa newsletter.
Ogni edizione mi fornisce diversi spunti per scrivere. Prendo diversi appunti che a volte diventano dei pezzi. Come l’editoriale uscito su News48 lo scorso anno.
Questa edizione 2024 non è ancora terminata ma da martedì mi gira in testa un pensiero che si è affermato meglio dopo il monologo straordinario di Giovanni Allevi.
Ora ne parliamo.
Prima ti do qualche notizia su quello che sta succedendo e succederà:
Ho rilasciato un’intervista a cui tengo moltissimo per le domande che mi sono state fatte da Francesco Sicchiero di Mirandola Comunicazione. Parliamo di giornalismo costruttivo. Sono 36 minuti di cuore.
c’è un ebook gratuito sul mio sito: è dedicato alla comunicazione digitale inclusiva. Lo puoi scaricare qui.
L’8 Febbraio ho tenuto il webinar dal titolo “Comunica con gratitudine”. Puoi acquistare la registrazione e guardarla quando vuoi.
Il 16 Marzo sono a &Love Story a Verona. Puoi acquistare il biglietto con uno sconto usando il codice constructivenetwork. Ti lascio il link.
Ne siamo capaci
A Sanremo ci va chi ha qualcosa da dire. Nonostante i puristi della musica si ostinino a criticare questa evoluzione della kermesse, di fatto è così. Le canzoni d’amore non sono più protagoniste assolute da molti anni. Hanno lasciato più spazio alle storie personali, alle denunce, alla voglia di riscatto, ai messaggi costruttivi. Oltre agli artisti anche alcuni ospiti sono lì per dire qualcosa. Non sempre, ma spesso. Ci siamo abituati ai monologhi sanremesi: sono ciò di cui si parla di più il giorno dopo.
Trovo che sia lo specchio di un’esigenza di questo tempo. Siamo alla ricerca di un’opinione, di un punto di vista. Ci siamo talmente abituati ad averli in ogni momento che ce li aspettiamo. E poi, da quel palco fanno più effetto. O almeno ci provano.
Ci sono quelli che polarizzano fortemente e quelli che funzionano per la maggioranza. Come è successo mercoledì sera. Giovanni Allevi ci ha fatto un dono di un valore inestimabile. Ci ha ricordato quanto siamo fragili e quanto la vita sia capace di darci delle sfide inaspettate e dolorose. Difficili da accogliere. Più facile definirle crudeli. E lo sono in effetti.
Lo sapevamo prima che Allevi salisse sul palco di Sanremo. Certo che lo sapevamo. E lo sappiamo. Ma amiamo liquidare questi pensieri appellandoci alla retorica e alla banalità. Cosa vuoi che ti dica? Funziona così la vita. Ma non ci pensare.
La forza di Allevi è stata la sua incredibile fragilità. Quella voce sottile, le mani tremanti, le parole che sembravano provenire dalla sua parte più intima. Non c’era retorica in quelle parole (ammesso che la retorica sia sempre negativa, peraltro). C’era tanta, ma proprio tanta, umanità.
C’era la consapevolezza di aver vissuto concentrato sul giudizio degli altri e sul timore di non piacere. E la serenità di aver compreso che si può fare diversamente.
Non molto tempo fa, prima che accadesse tutto questo, durante un concerto in un teatro pieno, ho notato una poltrona vuota. Come una poltrona vuota?! Mi sono sentito mancare! Eppure, quando ero agli inizi, per molto tempo ho fatto concerti davanti a un pubblico di quindici, venti persone ed ero felicissimo!
Oggi…dopo la malattia, non so cosa darei per suonare davanti a quindici persone. I numeri…non contano! Sembra paradossale detto da qui. Perché ogni individuo, ognuno di noi, ognuno di voi, è unico, irripetibile e a suo modo infinito".
Giovanni Allevi
Il dolore consegna delle profonde verità. Ma è per forza dal dolore che vogliamo passare? Me lo sono chiesto appena terminato il brano di Allevi. Mentre lui veniva accolto da una standing ovation che somigliava a un abbraccio corale e io asciugavo le lacrime sul divano di casa.
Ho avuto la sensazione che Allevi, in qualche modo, abbia risolto tanti nodi attraverso la malattia. E ha scelto di raccontarcelo in una danza di emozioni che è andata oltre il personaggio, la sua arte, la sua esperienza, il nostro gusto. Non c’erano altro che le sue parole. In quel momento era semplicemente un essere umano che parlava ad altri esseri umani.
E ci è piaciuto. La mattina dopo le sue parole sono state un balsamo anche per gli algoritmi del digitale. E i commenti sotto quei contenuti tanti piccoli semi a sostenere la vita di una persona e la sua autentica fragilità. Anche chi è nel team “io Sanremo mai” era lì a cercare quel monologo, a nutrirsi di quelle parole.
La vulnerabilità ci insegna più del cinismo.
Scriviamolo da qualche parte per ricordarlo. Prima di tornare a farci imprigionare dal frullatore.
Come è liberatorio essere se stessi.
Giovanni Allevi
Sei hai letto fino a qui, grazie!
Assunta
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Un libro
Sulla forza della fragilità puoi leggere - se non lo hai già fatto - il libro di Brenè Brown. Dopo questa lettura si cambia prospettiva.
Un articolo
Mariagrazia Villa, giornalista e docente di etica della comunicazione e dell’informazione ha un blog ricco di sfumature da leggere. Ti lascio un articolo che propone un esercizio di accoglienza.
Un altro libro
Sulla paura del giudizio altrui ti suggerisco un libro interessante che a me ha dato molti spunti interessanti su cui riflettere.