Ciao,
settimana più tranquilla questa. Mi sono presa il tempo per recuperare le energie e scrivere un po’. Il Constructive Day è stato un successo che mi ha riempito di gratitudine ricevuta e donata. Devo dire che osservare quello che siamo riusciti a fare dal 2019 a oggi è stato speciale davvero. Ne ho parlato in questo post su Linkedin se ti va.
E nella girandola delle emozioni c’è stato anche un premio. Non sono abituata, sai? Il mio lavoro controcorrente non è stato capito subito. Forse inizia ora, dopo 11 anni. Ho ricevuto il Premio Nadia Toffa per il giornalismo d’inchiesta all’interno dell’iniziativa Primavera è Donna 2025. E a consegnarmelo una collega costruttiva che stimo molto, Francesca Ghezzani.
Chiudiamo la parentesi orgoglio e gratitudine per tornare al concetto di una scelta che va controcorrente e che spesso non viene compresa.
Dissenso costruttivo, è questo il tema di oggi.
Partiamo da qui, dalle relazioni
Ti è mai capitato di trovarti in una riunione o in una conversazione di gruppo dove tutti annuiscono su un’idea che a te, dentro, non convince affatto?
Quella sensazione di essere l’unica voce fuori dal coro, con il cuore che batte più forte al pensiero di alzare la mano e dire: “Scusate, ma non sono d’accordo”. Ricordo bene più di una situazione così. Per paura di sembrare polemica o di rovinare l’armonia, sono rimasta in silenzio. Ero più giovane, meno consapevole e di sicuro erano tempi in cui ancora il concetto di costruttività non faceva parte della mia vita.
Qualche giorno fa, durante le mie ore di studio quotidiano, ho letto un articolo di Jenara Nerenberg dal titolo “How to Be a Constructive Dissenter” (Come essere dissenzienti in modo costruttivo). L’autrice descrive i ribelli come quelle persone che vanno controcorrente non per il gusto di contraddire, ma perché tengono profondamente al bene della comunità. Il loro dissenso, scrive, è una testimonianza di cura verso gli altri, e il loro impegno può diventare un modello di disaccordo sano che stimola tutti a riflettere in modo critico.
Quindi il dissenso può essere un atto di attenzione e cura verso gli altri.
E se le acque si agitano?
Non sarò io la prima a farti notare come sin da piccoli ci venga insegnato ad adeguarci agli altri, per stare in armonia a tutti i costi. Come se esprimere la propria opinione non possa comunque contribuire a relazioni sane.
Il conformismo sociale è potente; a volte finiamo per mettere da parte un pezzetto di noi pur di essere accettati. Tacere quando non siamo d’accordo sembra la scelta più sicura per evitare conflitti. C’è un termine per questo: self-silencing, la scelta di spegnere la propria voce per paura di agitare troppo le acque. La Nerenberg ci dice che reprimere sempre la propria verità ha conseguenze pesanti: sul piano sociale indebolisce il dibattito, e sul piano personale può portare a un profondo malessere, perfino alla depressione.
Se ci zittiamo ogni volta che dentro di noi c’è un “no”, alla lunga ne soffriamo noi e ne soffre la collettività.
“Fermi tutti, stiamo sbagliando strada” disse.
La psicologa Jolanda Jetten, sostiene che quello che a prima vista sembra mancanza di lealtà può in realtà essere l’atto più leale che esista. Quando qualcuno nel team o nella comunità dice “Fermi tutti, stiamo sbagliando strada”, magari sta cercando proprio di riportare il gruppo ai suoi valori fondamentali, evitando che tradisca sé stesso. Non è interessante questa prospettiva? Chi osa quella piccola rivolta gentile forse lo fa proprio perché ci tiene, non perché vuole distruggere ciò che il gruppo ha costruito.
Tra il dire e il fare, però…
Siamo abituati ormai ad etichettare chi va controcorrente come guastafeste, disfattista, o addirittura traditore. Il punto è che queste persone mettono in discussione le nostre certezze e ci spingono ad ammettere qualche errore. E questo va a pungere l’ego che ci appartiene in quanto esseri umani.
E se siamo dalla parte di colore che dissentono, con ogni probabilità pagheremo un prezzo per la nostra franchezza.
Proviamo a cambiare punto di vista e a considerare quei dissensi come segnali d’allarme preziosi. Secondo gli studi, le minoranze dissenzienti svolgono un ruolo fondamentale: tengono il gruppo mentalmente vigile, lo sfidano a pensare fuori dagli schemi e possono innescare cambiamenti positivi nel tempo. Ce lo scrive sempre la Nerenberg. In pratica, il dissenso costruttivo mantiene vivo il pensiero critico collettivo di un team, di una comunità, di una società intera. È un po’ come il pepe in una zuppa: pizzica, magari all’inizio non piace a tutti, ma dà più sapore e fa sì che la minestra non sia insipida.
(Concedimi il passaggio sulla cucina, che una delle mie passioni).
Ci guadagna la capacità innovativa di un team
Una ricerca citata su Harvard Business Review ha identificato proprio nel dissenso costruttivo il fattore più importante per la capacità innovativa di un team.
Riporto questo concetto al mio campo.
Nell’informazione e nella comunicazione significa, in sostanza, non omologarsi. Scegliere di essere una voce fuori dal coro per portare valore al dibattito pubblico e alla narrazione.
Attivarsi in questa direzione consente di sprigionare un bene prezioso come la creatività e di aprire un dialogo. Se fatto bene non annoia e non crea disagio, anzi interrompe il flusso e stimola le domande. (Che ormai lo sappiamo quanto siano importanti, giusto?).
Ovvio che il tono e il modo contano
Uno dei padri dell’Intelligenza Artificiale, Geoffrey Hinton, ha lasciato il suo prestigioso lavoro in Google pur di poter mettere in guardia il mondo sui rischi di una corsa incontrollata a questa tecnologia. Prova a pensarci: una vita a contribuire ai progressi dell’AI, e poi il coraggio di dire “Fermiamoci un momento, perché così rischiamo grosso”.
Questo è uno dei casi emblematici di dissenso costruttivo nel nostro tempo.
Non c’è intenzione di distruggere quanto fatto, in Hinton, piuttosto un tentativo di indirizzare il progresso su binari più sicuri, per il bene di tutti. Anche qui,
dissentire significa prendersi una responsabilità verso la società e verso il futuro, invece di seguire la corrente in silenzio.
La storia, del resto, è piena di esempi in cui inizialmente i dissidenti sono stati osteggiati, salvo poi essere rivalutati col tempo come visionari o come voci di buonsenso inascoltate.
Non sto suggerendo che da domani dobbiamo trasformarci tutti in bastian contrari su ogni argomento. Il dissenso costruttivo non è contraddire per partito preso o cercare lo scontro ad ogni costo. Si tratta piuttosto di esprimere con autenticità e rispetto un punto di vista diverso quando davvero conta, con l’intento sincero di migliorare una situazione o evitare un errore. Richiede equilibrio, empatia, e anche una dose di umiltà (eh già: perché può capitare che, discutendo, sia poi il dissidente a cambiare idea su qualche aspetto). Insomma, è un’arte delicata. Ma è un’arte che possiamo coltivare giorno per giorno, nelle piccole cose.
All’atto pratico come si fa?
La vera risposta a questa domanda è che non lo so. Ti posso dire, però, quello che sto mettendo in pratica io. Poi tu mi dici cosa ne pensi e proviamo a lavorarci insieme.
Ascoltare prima di scrivere: un gesto di cura
Quando nasce l’urgenza di raccontare qualcosa in disaccordo con ciò che circola intorno a noi, può essere utile fermarsi un momento e provare a capire davvero la visione che stiamo mettendo in discussione.
Non si tratta di cedere, ma di approfondire. Entrare nel pensiero dell’altro, anche solo per un attimo, può cambiare il nostro modo di scrivere: lo rende più umano, meno reattivo, più ancorato al senso.
Quando il centro è l’idea, non chi la sostiene
Nella scrittura ci si può ritrovare a parlare più delle persone che delle idee. Ma spostare lo sguardo dal chi ha detto cosa al che cosa stiamo cercando di capire insieme, apre prospettive nuove.
Ed è proprio lì che si può creare uno spazio narrativo capace di accogliere il confronto, anche tra punti di vista distanti. Senza semplificazioni, senza etichette, senza bisogno di disegnare buoni e cattivi. Solo complessità da attraversare.
Il tono come scelta narrativa
Nel raccontare un punto di vista diverso dal dominante — o semplicemente nel prendere posizione — può fare la differenza il modo in cui ci si pone.
Un tono rispettoso, anche quando è fermo, può aprire più porte di quanto si immagini. E non significa edulcorare il messaggio, ma scegliere con cura come farlo arrivare.
C’è chi dice che il tono sia fondamentale nella comunicazione. Io ci credo.
Fuori dalla bolla: una scrittura più ricca
Ci sono narrazioni che diventano più potenti quando incrociano altri mondi, altre fonti, altri sguardi.
Forse leggere chi la pensa diversamente, confrontarsi con contesti lontani dai propri, non serve solo a cambiare idea, che già sarebbe tanto.
Serve anche a raccontare meglio la propria. A renderla più sfumata, più consapevole, meno fragile di fronte alla complessità.
È una pratica che non sempre viene spontanea, ma può trasformare profondamente il modo in cui si scrive e si comunica.
Il dissenso come possibilità narrativa
A volte si associa il dissenso al conflitto, alla rottura, alla negazione. Ma nella scrittura può essere uno spazio fertile da abitare.
Abbracciare il concetto che una storia si può raccontare anche in un altro modo, è già un atto di cura verso il proprio pubblico, verso la realtà, e verso chi ne fa parte.
Non si tratta di negare le narrazioni dominanti, ma forse di affiancarle con domande nuove, con prospettive trascurate, con angoli morti da illuminare.
È lì che nasce la forza di una narrazione costruttiva: nel coraggio di non accontentarsi, pur restando nel principio del rispetto.
Lo sappiamo e ce lo diciamo spesso, il dibattito pubblico è oggi polarizzato e aggressivo, in questo contesto il dissenso costruttivo è quasi un atto rivoluzionario di gentilezza. Significa dire la propria verità senza gridare e senza odiare, con l’obiettivo di dare un vero contributo. Immagina che ricchezza se tutti ci sentissimo liberi di farlo: quanti conflitti si trasformerebbero in opportunità di crescita, quante soluzioni emergerebbero dove prima c’era solo uno stallo.
Non sempre è semplice; a volte la paura di essere giudicati torna a bussare. Provarci non può che farci bene, no?
Alla prossima settimana,
Assunta
PS: Su Instagram ho fatto un carosello sulle leve della narrazione costruttiva, vieni a darmi la tua opinione?