Ciao! Come si mette la tua estate? Hai dei piani per le prossime settimane? Raccontami.
Io intanto ti ricordo il Festival Letterario di Altamarea Beach Village il 19 luglio a Cattolica. Se fai un salto ci abbracciamo.
Oggi passiamo direttamente all’argomento che voglio proporti. Ho scritto tanto per te, spero possa esserti utile.
Karla McLaren e l’empatia
Nel 2013 l’autrice e ricercatrice Karla McLaren pubblica The Art of Empathy, un libro che getta nuova luce sull’empatia intesa come abilità fondamentale nella vita e nel lavoro. McLaren definisce l’empatia come “una capacità sociale ed emotiva che ci aiuta a sentire e comprendere le emozioni, le circostanze, le intenzioni, i pensieri e i bisogni degli altri, in modo da offrire comunicazione e supporto sensibili, percettivi e appropriati”.
Ho scoperto il suo lavoro scrivendo il mio libro “Empatia Digitale. Le parole sono di tutti, il contenuto è tuo”
In altre parole, dice la McLaren, l’empatia non è solo “mettersi nei panni altrui”, ma un insieme articolato di competenze che coinvolgono sia il sentire le emozioni altrui sia il capirle a livello cognitivo. Non a caso, la studiosa sostiene che l’empatia sia la base di ogni altra abilità comunicativa, al punto che “tutte le altre capacità di comunicazione dipendono da essa”.
Senza empatia, infatti, ascolto, dialogo e collaborazione perdono efficacia.
Il contributo più originale di McLaren è il suo modello dei Six Essential Aspects of Empathy – sei aspetti essenziali dell’empatia. Attraverso un’ampia ricerca multidisciplinare (dalla psicologia allo sviluppo infantile, dall’antropologia alla sociologia del linguaggio), ha individuato le diverse componenti che, insieme, producono un’attitudine empatica significativa ed efficace.
Te le riassumo qui:
Contagio emotivo (emotion contagion) – la capacità di percepire un’emozione presente nell’altro e, in un certo senso, sentirla risuonare in noi. È ciò che comunemente associamo all’empatia: ad esempio, vedere qualcuno in lacrime e provare noi stessi tristezza. Questo contagio emotivo richiede sensibilità ai segnali non verbali e agli indizi nascosti nelle interazioni. Da solo però non basta: alcuni sentono fin troppo le emozioni altrui e ne restano sopraffatti, il che impedisce poi di agire in modo utile. Il contagio emotivo è quindi solo il primo passo.
Precisione empatica (empathic accuracy) – la capacità di identificare con esattezza l’emozione dell’altro e capirne il contesto. Significa distinguere, ad esempio, se ciò che percepiamo come rabbia è in realtà frustrazione, o se un’apparente allegria nasconde dell’ansia. Questa accuratezza implica anche riflettere all’altro ciò che sente, mostrando di aver colto il suo stato d’animo. In pratica è la competenza di costruire una mappa fedele della mente e delle emozioni altrui. Senza precisione, potremmo fraintendere il sentimento dell’altro e vedremmo l’empatia deragliare: McLaren ci dice che se cogliamo un’emozione ma non è quella corretta, l’empatia si interrompe lì.
Regolazione emotiva (emotion regulation) – la capacità di gestire le proprie emozioni (e in parte anche quelle altrui) così da non esserne travolti. Spesso ci si dimentica di questo aspetto: l’empatia efficace “comincia da sé”, ovvero dalla maturità emotiva di chi la prova. Se non sappiamo riconoscere e calmare le nostre emozioni, finiremo col farci contagiare in eccesso da quelle altrui, perdendo la lucidità. La regolazione emotiva permette invece di mantenere la calma e la compostezza anche di fronte a sentimenti intensi.
Assunzione di prospettiva (perspective-taking) – la capacità di vedere il mondo con gli occhi dell’altro, immaginando con empatia la sua situazione. In sostanza, il mettersi nei panni altrui. McLaren la definisce “una competenza comunicativa fondamentale”, perché grazie ad essa comprendiamo meglio cosa l’altro sente e di cosa ha bisogno. Ad esempio, praticare la prospettiva altrui significa chiedersi: “Come mi sentirei io se fossi al suo posto?”. Questa immaginazione empatica prepara anche all’azione: ci aiuta a non rendere la conversazione egocentrica ma focalizzata sull’altro.
Premura verso gli altri (concern for others) – la sincera cura per il benessere altrui e la motivazione ad aiutare. Questo è il quinto aspetto, più legato all’atteggiamento che all’abilità tecnica. Possiamo anche essere abili nel sentire e capire gli altri, ma se non ci importa nulla di loro, l’empatia resta sterile. McLaren fa l’esempio di un “genio del male” che possieda i primi quattro aspetti per manipolare le persone, ma sia del tutto privo di compassione. La vera empatia include invece un’intenzione benevola: “il desiderio di essere compassionevoli e altruisti”. In pratica, bisogna tenere all’altro affinché la nostra comprensione si traduca in azioni di supporto.
Coinvolgimento percettivo (perceptive engagement) – la capacità di intervenire in modo sensibile e appropriato in risposta ai bisogni altrui. È l’ultimo tassello, quello orientato all’azione efficace. Significa saper consolare o supportare l’altro nei modi giusti, quelli di cui lui ha bisogno. Interessante, a volte il coinvolgimento empatico richiede di fare meno, non di più. McLaren porta l’esempio di un passante distinto che inciampa per strada: la persona empatica vera è quella che finge di non aver visto per risparmiargli l’imbarazzo, magari tenendolo d’occhio da lontano per sicurezza. Andargli incontro esclamando “Ho visto che è caduto, tutto bene?!” – magari pieni di buone intenzioni – lo farebbe solo sentire peggio. McLaren chiama questa finezza “stealth empathy”, empatia furtiva: piccoli gesti quasi invisibili che aiutano l’altro senza metterlo in difficoltà. Dunque il coinvolgimento percettivo consiste nel percepire a fondo cosa serve davvero all’altro e agire di conseguenza, calibrando aiuto e discrezione.
Questi sei elementi mi hanno cambiato la vita e spero possano essere utili anche a te. Emerge il lato profondo di questa attitudine che va ben oltre la gentilezza. È un insieme di abilità specifiche e intenzioni positive che, combinate, consentono una connessione profonda e utile con gli altri.
Questo modello a sei aspetti ha il pregio di rendere concreto un concetto altrimenti sfuggente: evidenzia che l’empatia include il sentire (emozione), il capire (cognizione), il gestire (regolazione) e il fare qualcosa di appropriato (azione di aiuto). McLaren ha sviluppato questo schema per dare alle persone un “approccio empatico all’empatia” – cioè per insegnare passo passo come funziona e come si può migliorare questa capacità fondamentale.
Sviluppi recenti più recenti
Dopo The Art of Empathy, Karla McLaren ha proseguito la sua ricerca sulle emozioni e l’empatia, affinando ulteriormente i suoi strumenti. In particolare, ha fondato un’intera scuola online sull’educazione emotiva e un metodo chiamato Dynamic Emotional Integration® (DEI), volto a integrare empatia ed emozioni nella vita quotidiana e professionale. Il modello dei sei aspetti dell’empatia, rimane comunque al centro dei suoi insegnamenti.
Più di recente, nel 2024, sul suo blog personale Karla ha pubblicato una serie di articoli dedicati a ciascuno dei sei aspetti, a testimonianza della loro importanza duratura. In questi scritti guida ci guida a rivisitare i sei aspetti per capire come svilupparli, dalla consapevolezza emotiva fino al perspective taking e oltre.
Un’evoluzione significativa nel discorso di McLaren riguarda l’idea che l’empatia non sia solo una “soft skill” fatta di gentilezza. Già in The Art of Empathy sottolineava come l’empatia includa anche il saper gestire conflitti, critiche e momenti “non amichevoli”. Ad esempio, propone tecniche come il “lamentarsi in modo cosciente” per trasformare le lamentele in occasione di comprensione reciproca. Questo indica che le sue più recenti visioni sull’empatia cercano di sfatare il mito che essere empatici significhi essere sempre dolci o accomodanti: spesso è proprio grazie all’empatia che possiamo affrontare i contrasti con onestà e rispetto, senza ferire l’altro. McLaren ha ampliato il concetto di empatia fino a comprendere un approccio completo alla comunicazione interpersonale: empatia come “interazione, non tratto fisso”, un processo dinamico che possiamo coltivare attivamente.
Empatia e comunicazione: un legame fondamentale
L’empatia e la comunicazione sono intimamente connesse. Possiamo serenamente affermare che l’empatia sia una delle più importanti skill nella comunicazione, un fondamento su cui poggiano tutte le altre abilità sociali. Karla McLaren stessa ribadisce che “l’empatia è cruciale per la comunicazione, per le interazioni e in generale per la nostra vita sociale”. In pratica, senza empatia risulta difficile ascoltare davvero l’interlocutore, comprendere il messaggio oltre le parole e rispondere in maniera adeguata.
Non solo l’empatia ci aiuta a decifrare meglio i messaggi degli altri, ma orienta anche il modo in cui noi comunichiamo. Quando siamo empatici, moduliamo il nostro linguaggio tenendo conto di chi abbiamo di fronte, mostriamo di aver compreso il suo stato d’animo e scegliamo le parole con maggiore tatto. In altre parole, l’empatia funge da filtro sociale positivo: impedisce che si dica “la cosa sbagliata” nei momenti peggiori e incentiva invece una risposta di supporto.
Va evidenziato, inoltre, che l’empatia non si riduce al semplice “ascolto passivo”. Include anche una componente attiva di comprensione profonda e, quando appropriato, di azione. Spesso si confonde l’empatia con la simpatia o con la compassione; McLaren chiarisce invece che l’empatia è un processo più completo: possiamo vederla come un ciclo comunicativo che parte dalla percezione dell’emozione altrui, passa per la corretta interpretazione del significato, prosegue con la regolazione della nostra reazione e si conclude (quando serve) con una risposta utile e sensibile. Senza uno solo di questi passaggi, la comunicazione rischia di fallire.
In sintesi, le ultime visioni sull’empatia – a partire dal modello di McLaren – arricchiscono la qualità della comunicazione perché ci forniscono una mappa di cosa fare per comunicare meglio. Ci ricordano di allenare sia il cuore che la mente: sentire l’altro (col cuore) ma anche capirlo (con la mente) e poi rispondergli (con parole e gesti allineati ai suoi bisogni). Per chi lavora nella comunicazione questo significa sviluppare una sorta di radar empatico: una capacità di sintonizzarsi sugli altri che migliora ogni conversazione, dalla riunione di lavoro alla chiacchierata al caffè. In un mondo iperconnesso e veloce, tornare a questi fondamentali umani può fare la differenza tra un dialogo sterile e un dialogo di valore.
Empatia nell’era digitale: sfide e opportunità
Nel contesto digitale, l’empatia affronta nuove sfide. La comunicazione mediata da schermi e dispositivi – email, chat, social network – priva l’interazione di molti segnali emotivi non verbali (sguardi, tono di voce, posture) che normalmente arricchiscono la comprensione reciproca. Inoltre, l’anonimato relativo e la distanza psicologica online possono dar luogo a quello che gli psicologi chiamano effetto di disinibizione online: le persone, sentendosi “dietro uno schermo”, talvolta dicono o fanno cose che non oserebbero faccia a faccia, mostrando meno empatia e riguardo. Uno dei timori del nostro tempo è che le tecnologie moderne rischiano di minare l’espressione appropriata dell’empatia, proprio a causa di questi meccanismi di disinibizione e della mancanza di contatto umano diretto.
D’altro canto, viviamo ormai gran parte delle nostre relazioni in forma digitale: demonizzare i media non serve. Gli studiosi hanno coniato il concetto di “empatia digitale”, definendola come “le caratteristiche empatiche tradizionali – come la premura e l’interessamento per gli altri – espresse attraverso la comunicazione mediata dal computer”. In altre parole, è possibile ed auspicabile praticare l’empatia anche online, adattandola ai nuovi mezzi. Ad esempio, un leader empatico in un team remoto farà attenzione a come formula i messaggi in chat, sapendo che l’assenza di tono potrebbe far suonare un feedback asciutto come una critica feroce. Oppure, in una discussione social, un comunicatore empatico “digitale” userà emoji, espressioni di validazione (“capisco cosa intendi”) e un linguaggio rispettoso per far capire al suo interlocutore che ne riconosce i sentimenti anche attraverso lo schermo.
Le ricerche sull’impatto dei social media sull’empatia offrono risultati contrastanti. Alcuni studi suggeriscono che un uso massiccio dei social network possa attenuare l’empatia, forse perché riduce il tempo di interazione di persona o perché incoraggia una comunicazione più superficiale. Altre ricerche, al contrario, indicano che i grandi utilizzatori di social mostrano livelli maggiori di empatia, magari grazie alle opportunità di connessione e scambio emotivo online.
Ciò che emerge con chiarezza è la necessità di coltivare attivamente l’empatia nei contesti digitali. Significa allenarsi a vedere l’utente dall’altra parte dello schermo non come un nome astratto ma come una persona reale, con emozioni reali. Ad esempio, prima di inviare una risposta polemica a un commento sui social, fermarsi un momento a immaginare come l’altra persona potrebbe sentirsi leggendo le nostre parole (assunzione di prospettiva) può evitare inutili ferite. Oppure, in una riunione in videoconferenza, dedicare del tempo a chiedere come stanno i partecipanti e ascoltare le risposte può ristabilire quel clima empatico che lo schermo tende ad appiattire.
McLaren osserva anche che connettersi alle proprie emozioni e alla propria empatia è una difesa contro la manipolazione altrui – un consiglio prezioso nell’era delle fake news e della comunicazione online aggressiva. Mantenere vivo il proprio radar empatico online può proteggerci dal lasciarci trascinare in reazioni “a caldo” o dal cadere preda di retoriche divisive. In ambito professionale digitale (si pensi allo smart working), ciò si traduce in leader e colleghi che fanno uno sforzo intenzionale per comunicare con calore umano anche via email o chat, sapendo che dall’altro lato manca il contatto diretto. Un esempio semplice: usare frasi come “capisco le difficoltà” o “apprezzo il tuo impegno” in una email aziendale può sembrare banale, ma crea vicinanza e comprensione in un medium altrimenti freddo.
In sintesi, le visioni più recenti sull’empatia ci incoraggiano a trasferire le nostre competenze empatiche anche nello spazio digitale, integrando la tecnologia con l’umanità. L’empatia digitale diventa così una nuova alfabetizzazione: una chiave per mantenere relazioni sane e autentiche online, dove invece spesso fioriscono incomprensioni e conflitti.
Vale un po’ di tempo per rifletterci, non credi?
Assunta