Buongiorno! Ormai è il caso di dire che arrivo prima dell’alba. Questa volta con l’idea di raccontarti un po’ meglio del giornalismo costruttivo. Probabilmente avrai rintracciato qualche mio contenuto online, oppure no. In ogni caso qui troverai le informazioni essenziali e qualche curiosità.
Perché proprio oggi? C’è un motivo per la verità. Ci arriviamo.
Per prima cosa: giornalismo costruttivo o giornalismo delle soluzioni? Sono due approcci simili. Il primo è stato teorizzato in Danimarca, il secondo nasce negli Stati Uniti. I principi sono gli stessi e le due istituzioni di riferimento, il Constructive Institute e il Solutions Journalism Network, collaborano tra loro organizzando anche eventi di scala mondiale.
Personalmente mi sono formata con gli americani del Solutions Journalism Network. Sono stata scelta per una Fellowship nel 2021 - una borsa di studio in pratica - e poi ho seguito il percorso per diventare Trainer Certificata. L’unica in Italia al momento, lo dico per farti capire quanta strada c’è ancora da fare. E infatti sto spingendo altri colleghi a fare il mio stesso percorso. Più siamo meglio si costruisce.
Torniamo al giornalismo delle soluzioni, chiamiamolo così, la sua nascita risale all’inizio di questo secolo quando, la stampa afroamericana degli Stati Uniti ha iniziato a raccontare le storie di chi riusciva a risolvere i problemi delle comunità afroamericane. Negli stessi anni, la Fundación Gabo a Cartagena, in Colombia (all'epoca chiamata Fundación para el Nuevo Periodismo Interaméricano), stava già esplorando il giornalismo delle soluzioni e aiutando i giornalisti a praticarlo.
La svolta è arrivata nel 2010 quando Tina Rosenberg e David Bornstein hanno inaugurato la rubrica “Fixes” sul New York Times. L’appuntamento settimanale dei due giornalisti esaminava le risposte innovative o di successo ai problemi sociali mettendo in luce cosa separasse il successo dal fallimento. Da questa esperienza e dall’idea di voler avviare un'organizzazione per identificare, legittimare e diffondere l'idea, è nato il Solutions Journalism Network: era il 2013 quando a David e Tina si è unita la giornalista Courtney Martin per dar vita a questo progetto. Ancora oggi il network americano, che ha sede a New York City, è attivo con l’obiettivo di trasformare il giornalismo in tutto il mondo, alimentando un approccio all’informazione che sia di aiuto e sostegno alla società fornendo informazioni complete, equilibrate e utili. Il team è oggi formato da 45 professionisti che operano da diversi Paesi del mondo.
E in Italia? Ci stiamo facendo strada con il Constructive Network che ho fondato insieme ad altri 6 colleghi e amici nel 2019. Loro sono: Isa Grassano, Vito Verrastro, Marco Mercola, Mariangela Campo, Andrea Paternostro e Angela Di Maggio. (Li vedi tutti in foto qui in sopra). Ci abbiamo provato timidamente: oggi siamo 157 giornalisti in tutta Italia. Ci occupiamo di formare altri giornalisti, di raccontare l’informazione costruttiva ai ragazzi nelle Università e di educare le persone a informarsi in modo utile e sano. Un lavorone enorme, lo so. Lo sappiamo. Però stiamo collaborando con gli amici del Solutions Journalism Network che ci sostengono alla grandissima.
Abbiamo anche fondato un magazine: News48.it dove puoi leggere le storie che raccontiamo.
Ma in pratica?
Il giornalismo costruttivo e delle soluzioni è una forma di narrazione molto rigorosa che si concentra su come le persone stanno cercando di risolvere i problemi che riguardano la nostra società e sui risultati che stanno ottenendo.
Una buona storia di soluzione si basa su quattro pilastri:
Riporta una risposta a un problema e come funziona questa risposta.
Cerca prove disponibili di successo o fallimento, poiché le buone intenzioni non sono sufficienti.
Cerca di scoprire importanti intuizioni, non solo ispirazioni.
Racconta anche i limiti delle soluzioni proposte senza celebrare. Si chiede: cosa non funziona?
Non stiamo parlando di un giornalismo positivo a tutti i costi, e ci tengo molto a questo concetto. Riteniamo fondamentale offrire sempre un contesto di riferimento e avere chiaro il problema che apre le porte alle soluzioni. Altro elemento fondamentale è che ci siano dati concreti che possano testimoniare perché le soluzioni funzionano. Per questo si tratta di un giornalismo lento e di approfondimento: non viaggia ai ritmi delle breaking news ma preferisce aspettare e proporre una narrazione più completa. Non solo il positivo, non solo il negativo.
Ora perché tutto questo bel racconto? E perché oggi?
Prima di tutto perché c’è ancora tanta confusione e la chiarezza è uno dei fondamenti del principio della costruzione. E poi perché il prossimo 27 ottobre alle 17 - fra una settimana - si terrà a Milano il Celebration Party che sta avvenendo in contemporanea in diverse parti del mondo. Quest’anno infatti si festeggiano i 10 anni del Solutions Journalism Network e noi siamo stati chiamati a organizzare una festa.
Ho voluto che fosse aperta a tutti, non solo ai giornalisti. Per favorire l’incontro con il pubblico, per dialogare e condividere. Quindi se vuoi esserci basta che ti registri qui. Sì, puoi portare anche altre menti curiose. A noi fa piacere. E sì, il prosecco lo offriamo noi insieme agli abbracci.
Una cosa è certa: il giornalismo così come lo viviamo oggi per la maggiore non può più funzionare.
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Ti Spiego il dato di Donata Columbro. Riflessioni su dati, data visualization, algoritmi e tecnologia. Un approccio interessante e stimolante che credo possa aiutare a stare meglio dalla parte di chi si informa.
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Cambiare Passo di Arianna Huffington ne racconta di cose interessanti. Non è di nuova uscita ma lì si capisce quanto sia alto il rischio di andare alla deriva se non si comincia a portare attenzione al proprio esserci. Vorrei rileggerlo prima o poi. Intanto te lo consiglio.
Un video.
Questo è uno dei TED più visti e potresti averlo visto anche tu. Ma un ripassino ogni tanto non fa male: Amy Cuddy spiega come il linguaggio del corpo possa modellare la nostra personalità. Mi è capitato di rivederlo qualche giorno fa mentre preparavo un corso di formazione. E ho pensato a te.
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