Perché non ci fidiamo più
La fiducia non si pretende, si costruisce. Anche nell’informazione.
Buon venerdì,
c’è il fuoco acceso accanto a me. Pur preferendo il mare alla montagna - chi mi conosce lo sa bene - ci sono cose che mi affascinano delle alture: il fuoco del camino accesso è tra queste, insieme al silenzio profondo del mattino e al verde della primavera. E poi c’è quella bella abitudine di salutarsi ogni volta che ci si incontra in un sentiero, o in un vicolo di paese. Qui è come se ci sentissimo autorizzati alla gentilezza.
Sono giorni ricchi di cose da fare questi, e nella serenità della montagna ho trovato l’energia giusta per occuparmi dei nuovi contenuti dell’Accademia Narrazioni Costruttive ma anche degli ultimi dettagli dell’evento più atteso dell’anno per i giornalisti e le giornaliste del Constructive Network.
Il 9 maggio siamo a Roma, per il terzo Constructive Day: una giornata di formazione e networking per i professionisti e le professioniste dell’informazione che scelgono il giornalismo costruttivo e il solutions journalism. L’idea è nata 3 anni fa per riunire i membri del network che vivono in ogni regione d’Italia. Ci è piaciuta, la replichiamo. Quest’anno ha tutta l’aria di essere un evento ancora più significativo: organizzato con gli amici di EconomiaCircolare.com e con il patrocinio di Città Metropolitana di Roma.
E poi saremo a Palazzo Valentini, proprio sopra le Domus Romane. Un luogo che profuma di storia.
Se lavori nell’informazione e vuoi conoscerci meglio, rispondi a questa mail e ti mando il link per iscriverti gratuitamente alla giornata. Non sono rimasti molti posti al momento.
Il tema di oggi? Entriamoci subito.
Crisi di fiducia nel giornalismo in Italia: cosa succede
Negli ultimi anni, molti di noi hanno provato una sensazione di disillusione di fronte alle notizie. Sempre più persone in Italia spengono la TV durante il telegiornale o scorrono i titoli sul telefono con crescente scetticismo. Ci troviamo ad affrontare una crisi di fiducia nel giornalismo: il pubblico, stanco e confuso, fatica a fidarsi sia dei media tradizionali sia delle testate digitali. Questo è un tema che mi sta molto a cuore e che mi spinge spesso a scrivere sulla dieta mediatica che può aiutarci (l’ho fatto anche in questo articolo sul mio blog). Sono sempre percorsi a due vie: i giornalisti e le giornaliste da una parte, il pubblico dall’altra. Ci siamo dentro, ognuno con la propria storia e con le proprie riflessioni.
Una fiducia in calo: il pubblico italiano e i media
Prima di tutto, guardiamo in faccia il problema: la fiducia nei confronti dell’informazione è in calo. In Italia abbiamo un tasso di fiducia nei media che oscilla intorno al 34-37% da diversi anni. Il Digital News Report del Reuters Institute lo scorso anno ha riportato il 34%. Per darti un contesto, è un dato allineato con Francia (31%), Spagna (33%), Regno Unito (35%), Austria (35%). Ma è migliore di Paesi come Grecia (23%), Ungheria (23%), Slovacchia (25%), Romania (27%), Bulgaria (29%). Le cose vanno decisamente meglio nei Paesi Scandinavi: Svezia (50%), Norvegia (55%), Danimarca (57%) e nella vicina Finlandia (69%). Ora, il dato interessante è chiedersi come mai in questi territori la stampa ha una buona relazione di fiducia con le persone. Questo è uno studio che sto facendo. Posso intanto dirti che il giornalismo costruttivo, nelle sue prime teorizzazioni e come corrente, è nato proprio in quella parte di Europa. Ci torneremo su, promesso.
Intanto cosa genera mal contento e poca fiducia nei media nel nostro Paese? Lo scenario italiano è caratterizzato da un’informazione fortemente politicizzata e influenzata da interessi economici. E quando le persone percepiscono interventi di potere dietro all’informazione inevitabilmente se ne allontanano.
Negli ultimi anni, con il giornalismo digitale, si è andata delineando anche un’altra sfumatura: l’informazione non è più stretta competenza di giornalisti e giornaliste ma ha diversi attori. Il che è un bene perché si sono delineate nuove professionalità e sono nati media indipendenti. Ma è anche un male perché viene fatta molta più confusione e si perde di vista un dato essenziale: appartenere a un ordine professionale (quello dei giornalisti) significa dover rispettare regole etiche e deontologiche. Eppure oggi, molte sono le persone che ritengono superficiali e poco competenti coloro che scelgono il giornalismo come professione. Paghiamo lo scotto della fretta che porta alla poca accuratezza e profondità, ma anche la scarsa trasparenza e onestà nel fare informazione. Rientrano in questa categoria anche il sensazionalismo e la drammatizzazione a tutti i costi, figli del click baiting.
Di fronte a questo scenario, la domanda sorge spontanea: cosa possono fare i giornalisti per invertire la rotta? Se la crisi di fiducia ha radici nelle pratiche mediatiche e nel rapporto deteriorato con il pubblico, è proprio su questi fronti che bisogna intervenire. Le strategie ci sono, vanno scelte però.
Riconquistare la fiducia: strategie e consigli per chi fa informazione
Ricostruire la fiducia richiede cambiamenti concreti nel modo in cui si fa giornalismo e nel modo in cui ci si relaziona con il pubblico. Non basta dire fidatevi, bisogna dimostrare sul campo di meritare quella fiducia, giorno dopo giorno. Gli esperti di Trusting News – un progetto internazionale che studia come migliorare il rapporto tra media e comunità – hanno elaborato alcune raccomandazioni pratiche per le redazioni, utili soprattutto durante i periodi di notizie frenetiche o complesse.
Ecco alcuni suggerimenti da mettere in atto per migliorare la relazione con il pubblico:
Offrire contesto e background – Non dare per scontato che tutti conoscano i precedenti di una vicenda. Prima di lanciare l’ultimo aggiornamento su una crisi o un fatto di cronaca, è utile contestualizzare la notizia: spiegare gli antefatti, i perché e il come si è arrivati fin qui. Fornire al pubblico riferimenti storici o un breve riepilogo iniziale li aiuta a vedere il quadro generale e a non sentirsi persi.
Evitare il linguaggio allarmistico – Le parole contano. Toni esagerati, titoli catastrofici e superlativi assoluti usati con leggerezza possono attirare clic nell’immediato, ma a lungo andare anestetizzano e spaventano inutilmente il pubblico. Evitando l’iperbole gratuita, il pubblico imparerà a fidarsi di più, sapendo che se un giornale definisce qualcosa eccezionale lo fa con cognizione di causa.
Spiegare perché una notizia è importante – Quante volte ci chiediamo: ma questa cosa, in concreto, come mi può essere utile? Collegare le notizie alla vita reale delle persone è fondamentale. Un giornalismo attento alla rilevanza sociale spiega non solo che cosa sta accadendo, ma perché conta per il lettore. Ad esempio, una notizia sull’economia sarà più apprezzata se il giornalista chiarisce come quella situazione impatterà sul portafoglio delle famiglie, o se un fatto di cronaca spinge a riflettere su temi più ampi che riguardano la comunità. Dare questo tipo di spiegazioni aiuta il pubblico a capire il valore dell’informazione e a sentirla meno distante. In pratica, significa mostrare esplicitamente quali conseguenze o implicazioni una vicenda può avere nella quotidianità: collegare i puntini fra la news e la vita di tutti i giorni.
Normalizzare le “pause” dalle news – Dire al pubblico quando non seguirci. Può sembrare controintuitivo, ma un giornalista empatico riconosce che l’overdose di notizie può diventare tossica. Durante settimane particolarmente convulse – pensiamo a emergenze sanitarie, crisi internazionali, campagne elettorali, fatti di cronaca importanti – le persone si sentono spesso esauste e stressate. Un buon giornalista può ricordare alle persone che è sano ogni tanto disconnettersi, prendersi una pausa dal flusso incessante di aggiornamenti. Questo atteggiamento – mettere al centro il benessere informativo delle persone, invece dell’audience a tutti i costi – comunica al pubblico che il giornalista è dalla loro parte. E getta le basi per una fiducia più solida, basata sul rispetto reciproco.
Questi suggerimenti pratici, hanno un filo conduttore comune: rimettere le persone al centro. Significa cambiare prospettiva, da un giornalismo autoreferenziale (focalizzato solo sul pubblicare per primi) a un giornalismo orientato al servizio. In questo cambio di paradigma rientrano anche altre buone pratiche che vale la pena menzionare.
La trasparenza può essere un potente antidoto alla sfiducia: spiegare come e perché è stata scelta una certa linea editoriale, dichiarare eventuali conflitti di interesse, mostrare le fonti utilizzate e i processi di verifica. Pubblicare note che raccontano come è stato svolto un servizio giornalistico aiuta, per esempio, a colmare quel divario di comprensione con i lettori.
Ammettere gli errori in modo chiaro e rapido è un’altra scelta a favore della fiducia. Se un giornale sbaglia, scusarsi e correggere con evidenza – invece di nascondere la rettifica in fondo alla pagina, quando va bene – può trasformare un passo falso in un’occasione per dimostrare onestà.
Anche l’ascolto attivo del pubblico rientra nelle strategie di ricostruzione della fiducia: aprire spazi per commenti costruttivi, raccogliere le domande dei lettori e rispondervi. Queste pratiche fanno capire al pubblico che la stampa non è una voce lontana e infallibile, ma un servizio che opera all’interno di una comunità di cittadini informati.
Riconquistare la fiducia perduta richiede umiltà, empatia e innovazione. Serve un giornalismo che sappia guardarsi dentro, riconoscere le proprie mancanze e lavorare per colmarle. Se ti stai dicendo che è una strada poco percorribile, ti anticipo che nei Paesi Scandinavi vengono fatte queste scelte e i dati di fiducia parlano da soli.
Il giornalismo costruttivo come via per la credibilità
Quando parliamo di giornalismo costruttivo, intendiamo un approccio all’informazione diverso dal solito bias della negatività a cui siamo abituati. Non si tratta di dare solo buone notizie o edulcorare la realtà, bensì di ampliare la prospettiva: accanto alla denuncia dei problemi, il giornalismo costruttivo propone di esplorare anche le possibili soluzioni, gli esempi virtuosi, le lezioni apprese. È un modo di fare cronaca che non si ferma al cosa è andato storto, ma chiede anche cosa si sta facendo per migliorare? Questo approccio arricchisce l’informazione e può avere un effetto positivo sul pubblico: vedere che esistono persone, comunità o istituzioni che provano ad affrontare le sfide può ridurre il cinismo e stimolare partecipazione attiva. Non a caso, c’è chi sostiene che il giornalismo costruttivo possa restituire credibilità e senso alla professione giornalistica proprio perché la riavvicina alla sua funzione civile, di servizio alla società.
Tra queste voci ce ne sono 250 che fanno parte del Constructive Network, il network di professionisti e professioniste dell’informazione che ho fondato nel 2019 insieme ad altri 6 colleghi. Proviamo a far accadere qualcosa di nuovo, a tornare a quell’idea di giornalismo come servizio pubblico da cui è partita la professione.
Abbiamo il nostro magazine News48.it ma camminiamo anche insieme ad altre realtà editoriali indipendenti che lavorano in questa direzione, e che hanno scelto di entrare nel nostro network.
Italia Che Cambia è un progetto editoriale che mappa e racconta le realtà costruttive e e sostenibili del nostro Paese.
EconomiaCircolare.com si occupa di approfondire con onestà e cura i temi legati alla sostenibilità.
B-Hop Magazine, promuove un giornalismo che torna a dare speranza e visione alle persone.
Meno sensazionalismo, più spiegazione e approfondimento, grande trasparenza sulle fonti. Sono tutte iniziative che dimostrano come un altro giornalismo sia possibile: più costruttivo, dialogico e orientato a risolvere invece che a dividere e polarizzare.
Verso un’informazione più affidabile e condivisa
La crisi di fiducia nel giornalismo italiano è reale e non si risolverà dall’oggi al domani. Troppe promesse tradite, troppe attese deluse hanno fatto sì che il pubblico guardi ai media con il sopracciglio alzato. Ma gli esempi e le idee di cui abbiamo parlato indicano una strada per la ricostruzione. Non sarà semplice: richiederà ai giornalisti di fare un passo verso il pubblico, di cambiare alcune abitudini radicate e di abbracciare nuovi approcci. Richiederà anche ai cittadini uno sforzo di apertura, la disponibilità a riconoscere e sostenere chi fa informazione in modo diverso.
Passo dopo passo, questa fiducia si può riconquistare.
Immaginiamo un futuro non troppo lontano in cui accendere il telegiornale o aprire un articolo non provochi più sconforto o diffidenza, ma curiosità e rispetto. Un futuro in cui media e pubblico si parlino con franchezza: i primi pronti ad ascoltare e rendere conto, i secondi più consapevoli di come funziona l’informazione e partecipi nel migliorarla. Il giornalismo, dopotutto, è un servizio pubblico: nasce per informare, spiegare e aiutare le persone a orientarsi nel mondo. Quando riesce a farlo con onestà, empatia e costruttività, la fiducia torna ad essere il suo naturale corollario.
Sarei felice di sapere cosa ne pensi.
Scrivimi, ti rispondo,
Assunta