Quanto è inclusiva la nostra comunicazione?
No, non ti dirò di usare elementi grafici tipo schwa o asterisco. Abbiamo una lingua così ricca che non servono
Se gli ultimi anni ci hanno insegnato una cosa, è che tutti i nostri destini sono legati. Dalla crisi climatica, alla pandemia fino ai conflitti e agli eventi di razzismo: è evidente che i problemi collettivi richiedono soluzioni collettive.
Anche la comunicazione è coinvolta in questo flusso di comunità. Comunicare in modo da costruire ponti e rompere barriere è diventata una necessità. Le parole contano. La lingua è potente ma spesso sembriamo non accorgerci di questo suo potere straordinario. La utilizziamo con superficialità seppur in buona fede. E non ci rendiamo conto che è il primo terreno su cui si alimentano le divisioni e si nutrono le differenze evidenziandole con forza.
Il linguaggio inclusivo è certamente un tema di grande attualità da alcuni anni ma siamo davvero consapevoli della necessità di occuparcene? E cosa si intende per lingua inclusiva?
La lingua inclusiva è molto di più della scelta di evitare l’utilizzo di alcuni termini o di frasi che rafforzano stereotipi e pregiudizi. Di fatto è lo strumento più potente che abbiamo per accogliere le diversità di ogni persona e di creare ambienti e condizioni in cui ogni individuo possa sentirsi libero di elevare la sua unicità con grande autenticità.
Ci rendiamo conto di tutto questo?
Una ricerca Ipsos di ottobre 2021 ha coinvolto la popolazione italiana chiedendo cosa ne pensasse dell’uso della nostra lingua oggi rispetto a quella dei nostri genitori. Il 23% ha dichiarato che il linguaggio di oggi è più semplice, il 27% che è più informale, mentre la maggioranza con il 28% afferma sia più amichevole. I dati della ricerca propongono anche uno spaccato che rappresenta i grandi cambiamenti in corso e la direzione che si sta prendendo nella comunicazione. Sulle derive di odio e violenza che spesso prendono luogo in contesti online, le persone intervistate si sono espresse così:
il 38% ha affermato che è una forma grave di violenza verbale
il 36% che le conseguenze di questo tipo di linguaggio si ripercuotono in maniera grave nella vita reale
il 38% ha dichiarato essere un problema legato principalmente alla maleducazione delle persone.
Avrei voluto che questi dati fossero più decisivi, devo dire la verità. Però sicuramente mostrano una consapevolezza crescente. Qualcosa va fatto. Ora la domanda da porsi è: cosa possiamo fare in termini di comunicazione?
Schwa, asterisco, trattino, chiocciola e simili
Non sono una fan delle proposte grafiche e fonetiche che sono emerse negli ultimi anni. Lo confesso. Non giudico chi le utilizza e sono grata a chi le ha proposte perché hanno certamente spinto le persone a prestare attenzione al tema dell’inclusione. La stessa ricerca Ipsos che ti ho segnalato prima ha chiesto alle persone coinvolte nell’indagine cosa ne pensassero.
Il 28% afferma che si tratti di un’esagerazione non facile da comprendere
il 26% che si tratti di una questione irrilevante e che le priorità siano altre
il 23% ritiene sia una forma di scrittura giusta che semplifica il modo di scrivere e rispetta le differenze di genere
il 22% non è a conoscenza di queste forme di scritture.
Questo tipo di indicazioni grafiche e fonetiche hanno un limite, anzi forse più di uno. Il primo è che sono difficili da portare nella lingua parlata (in particolare asterisco, trattino e simili). In secondo luogo non sono inclusive nei confronti delle persone ipovedenti che utilizzano sistemi di lettura automatica o di quelle con dislessia. Non sono inclusivi anche nei confronti delle persone meno abituate all’utilizzo dei media digitali per varie ragioni e che, quindi, non sono informate sui suggerimenti proposti. Penso a chi ha un’età avanzata e a chi ha una situazione sociale e culturale più disagiata.
Aggiungo, opinione un po’ più personale, che ogni volta che incontro uno di questi simboli, mi fermo e penso al problema. Non so se sia questa la strada giusta.
La più grande forma di inclusione avviene quando permettiamo a ogni persona di sentirsi inclusa senza che lei percepisca alcuna forzatura nella nostra comunicazione.
Come possiamo provarci?
Tirando le somme, il linguaggio inclusivo ha a che fare con il concetto di rispetto. Quando si sceglie di usare la lingua inclusiva, si sceglie di rispettare la dignità e la diversità delle altre persone.
Perché sforzarsi di essere inclusivi? So che non si dovrebbe fare ma rispondo con un’altra domanda: perché non farlo?
Impegnativo? Certo che lo è. Fa la differenza avere quello che la psicologa Carol Dweck definisce grow mindset, la mentalità di crescita che si contrappone con il fixed mindset, la mentalità che ritiene che le cose non possano cambiare. Se la prima ritiene che le nostre abitudini e i nostri talenti possano essere sviluppati attraverso impegno, cura, feedback, intenzioni costruttive; la seconda ritiene invece che i talenti siano doni innati. Cosa c’entra questo con il linguaggio inclusivo?
Mettersi alla prova nonostante eventuali errori e cadute, timori e difficoltà significa allenare un growth mindset. L’inclusività passa dalle parole che scegliamo ma anche dalla forma in cui queste vengono usate. Soprattutto se si scrive per il web, un testo si può dire pienamente inclusivo nel momento in cui ogni persona è in grado di fruirne.
Ciò ci pone di fronte a uno sforzo più difficile: approfondire le potenzialità della lingua italiana.
Cosa succede nelle altre lingue?
In inglese è stato introdotto il singular they come pronome non marcato per riferirsi a persone non-binary o di cui non si conosce il genere. Una scelta sostenuta anche dalle istituzioni linguistiche e utilizzato nei testi ufficiali. Nel 2019 il They è stato eletto parola del decennio dalla American Dialect Society.
In spagnolo è diffuso l’uso di elle al posto di él o ella. La desinenza -e viene usata in sostituzione di -o e -a, che come in italiano designano maschile e femminile: per esempio, al neutro todos diventa todes. Questi suggerimenti, però, non sono stati ufficializzati dalla Real Academia Española.
Lo svedese, nel 2015, ha introdotto nel dizionario ufficiale, il pronome neutro hen (dal masch8ile han e femminile hon)
In italiano le cose sono più complesse rispetto all’introduzione di nuovi pronomi neutri. Però abbiamo dalla nostra una lingua che offre grandi possibilità. Non resta che allenare la nostra creatività linguistica.
Da un anno ho scelto di sfidarmi ogni giorno nella scrittura inclusiva grazie semplicemente alla nostra meravigliosa lingua italiana. Un esperimento che mi sta dando tante soddisfazioni.
Tu, ci hai mai pensato? Se ti va, ho preparato un pdf introduttivo con un esercizio e alcune domande che possono aiutarti a capire a che punto è la tua comunicazione digitale.
Su questo tema c’è ancora molto da dire e da fare. Io sono decisa a esplorarlo sempre di più. Anzi, ho pensato a un webinar di un’ora e mezza in cui condividere come lavoro io per una comunicazione inclusiva nel digitale.
Sto preparando tutto ma posso darti già la data: 13 aprile dalle 14.00 alle 15.30. Sarà un’ora e mezza molto concentrata e pratica. Se non potrai esserci sto pensando di lasciarlo in replica qualche giorno.
Cosa ne pensi?
Grazie per avermi letta fino a qui.
Assunta
PS: nel sondaggio su questa newsletter lanciato settimana scorsa ha vinto il venerdì! E così sia 😊