Ciao!
Ti ricordi della volta in cui hai fatto una scoperta di quelle “wow!"? Non per la scoperta in sé ma per come si collegasse alla tua vita e alla tua esperienza. Come riuscisse a darti quella visione di insieme sul tuo percorso. Se ti è capitato, raccontami rispondendo a questa mail. Se ancora non ti è successo, continua a cercare e a farti domande appena puoi. Le connessioni sono lì, da qualche parte e ti aspettano.
Da circa un mese ho iniziato ad approfondire il journaling. Definirlo scrittura sul proprio diario è riduttivo ma rende l’idea. Quando ho percepito che ci fosse dell’altro, ho deciso di esplorare, farmi domande, cercare risposte.
Il journaling potrebbe apparire una pratica tanto in voga oggi nella crescita personale e nel counseling. Ed è vero che il suo potenziale viene narrato in questo nostro tempo con enfasi. Nelle mie ricerche ho scoperto, però, che la forma più antica di journaling risale ai Sumeri (circa 4000 mila anni fa, li hai studiati a scuola sicuramente). E in effetti ho qualche ricordo delle lezioni di storia delle elementari: quelle tavolette di argilla raffigurate sul libro su cui venivano scritti gli eventi quotidiani, le norme amministrative, le condizioni meteorologiche e le storie. Non c’era allora l’aspetto riflessivo che oggi abbiamo scoperto nella scrittura del diario, ma questi registri fornivano una importante testimonianza della vita e delle vicende di quel tempo. Da lì poi è stato un flusso di comunità e culture che hanno utilizzato questa pratica: gli antichi Egizi, i greci e i latini. Socrate credeva che ognuno di noi avesse già la conoscenza dentro di sé e che il suo compito fosse quello di far emergere questo sapere attraverso delle domande.
Nel libro “Il potere del journaling”, Ian Harris racconta la storia nei dettagli. Qui voglio condividere con te la scoperta che mi ha fatto dire “wow!” .
Non inventiamo ma trasformiamo
Journaling deriva dalla parola francese “journal” che significa “registro” o “diario” ma anche “giornale”. La sua radice latina rimanda a “diurnalis” che significa “quotidiano”. E fino a qui il collegamento con la parola journalism è abbastanza evidente. Il caro giornalismo.
Una stessa origine etimologica ma anche semantica. Il giornalismo ha come compito quello della raccolta delle informazioni, della verifica e dell’elaborazione delle notizie e della diffusione dell’informazione attraverso mezzi di comunicazione: giornali, riviste, televisione e, oggi, i media digitali.
Quindi il giornalismo si occupa dei fatti di interesse pubblico.
Il journaling è, invece, una pratica intima. Si tratta di una scrittura che ha uno scopo molto personale ma in comune con il giornalismo ha la sua attitudine all’esplorazione e all’auto-riflessione. Sebbene journalism e journaling abbiano scopi diversi tra loro, entrambi condividono due aspetti interessanti. Da un lato registrano e documentano informazioni ed esperienze e dall’altro implicano una forma di narrazione e di espressione.
L’uno, il giornalismo, si occupa dei fatti che accadono nel mondo, delle emozioni e dei pensieri delle persone che esistono in una comunità. L’altro, il journaling, si prende cura delle proprie esperienze personali, dei pensieri e delle emozioni.
Se andassimo a fondo in ogni attività che svolgiamo oggi in automatico scopriremo di non aver inventato nulla ma di aver semplice trasformato qualcosa che nel passato ha gettato le sue radici in profondità.
Ed è così anche per questa pratica di scrittura che si è adattata ai contesti sociali e culturali che ha visto passare davanti a sé.
Da una semplice collezione di registri delle attività quotidiane è diventata una pratica utile a esplorare l’essere umano e il suo sentire. Con l’avvento della stampa, dei mezzi di comunicazione di massa e dei giornali è diventato qualcosa di diverso. Il primo foglio di notizie è apparso a Venezia nel 1563: redatto a mano dal governo e pubblicato ogni mese con le notizie ufficiali da condividere con il popolo.
Le prime gazzette a stampa - settimanali e quindicinali - arrivano nel Seicento. Non hanno titolo e contengono un dettagliato elenco di notizie locali ed estere. Appaiono come libri di due o quattro pagine. Da qui si arriva ai quotidiani di metà del ‘700 e alle riviste letterarie che ospitavano anche sezioni dedicate ai diari personali o alle testimonianze del pubblico.
Un brevissimo viaggio nel tempo per tornare a oggi dove il mondo digitale ci ha fornito nuove forme di journaling. Pensa ai blog - veri e propri diari personali di riflessione e narrazione - ma anche ai social network dove trova spazio l’auto narrazione accanto alla divulgazione di notizie e informazioni.
E qui mi fermo per alcune riflessioni.
Il giornalismo ha un importante ruolo sociale che ha molto a che vedere con l’anima della società. Quello che viene raccontato sui media appartiene alla profondità del mondo: ne evidenzia le vulnerabilità e può attivare le soluzioni. Di fatto è il feedback della società che viviamo che sta a noi accogliere per generare riflessioni e comprendere dove volgere lo sguardo. Smettendo di chiederci se possiamo fare qualcosa ma provando a domandarci come possiamo farlo.
La seconda riflessione mi fa pensare che in qualche modo ognuno di noi è coinvolto nella narrazione di sé e del mondo che lo circonda. E questo comporta una grandissima responsabilità che i giornalisti hanno di certo amplificata da un’etica e una deontologia da rispettare ma che in qualità di cittadini di questo mondo indossiamo a prescindere dalle etichette. Se chiudo gli occhi vedo le generazioni del futuro che troveranno sui loro strumenti educativi i nostri post di Instagram e Facebook come noi studiavamo le tavolette in argilla dei Sumeri. Che cosa stiamo lasciando di noi? E cosa vorremmo invece lasciare?
La terza riflessione mi riporta all’emozione che ho provato quando ho scoperto questi collegamenti nella mia vita. Tengo diari di ogni genere da quando avevo 13 anni; studio dal 2012 il potere che si cela dietro il diario della gratitudine; sono giornalista dall’età di 19 anni; sono laureata in francese con una tesi su una rivista ebraica che ha ospitato grandi nomi della scienza, psicologia, letteratura dei primi del ‘900 e scrivo a mano anche gli appuntamenti in agenda.
Ma non avevo mai indagato sulla relazione tra questi aspetti.
Eccolo qui, l’effetto “wow” che mi ha portata a comprendere che
se invece di osservare vite altrui da emulare ci fermassimo a conoscere la nostra, potremmo davvero scoprire qualcosa di incredibile.
E dire che me lo avevano detto:
“pensa a ciò che facevi da piccola, quelle attività che ti facevano perdere il senso del tempo. Chiedi ai tuoi genitori”.
L’ho chiesto: disegnavo strane linee sui fogli quando ero piccolissima pensando di che stessi scrivendo un libro. Quando era finito lo leggevo ai miei pupazzi. Al suo interno vi erano scritte storie: le mie e quelle delle persone che riconoscevo nella mia vita di bambina della provincia milanese. Quando sono cresciuta sono passata ai diari.
Sapevo già tutto. Ma lo comprendo solo oggi.
Non è mai troppo tardi per unire i puntini della propria esistenza.
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