Ci sono tante domande che mi faccio ogni volta che scelgo di condividere dei contenuti. Che sia in aula, durante una formazione, o nel mondo digitale. Una di queste veniva spesso con me. Fino a qualche tempo fa.
"Ma qualcuno condividerà il mio punto di vista? Saranno d'accordo con me?"
Nasceva dal mio desiderio di essere utile. A tal punto che in diverse occasioni se mi capitava di intercettare un bisogno nuovo prima della condivisione finivo per cambiare totalmente il contenuto. Il che non è un errore di per sé ma denota certamente un’insicurezza di fondo su cui ho voluto lavorare a lungo.
Nella mia vita ho sempre cercato di rispettare il mio sentire e di identificare la mia strada. Unica giornalista di famiglia: i miei ancora non si spiegano come mi sia venuto in mente. Talvolta mi sono sentita controcorrente per le scelte fatte. Come quando propongo la gratitudine e la gentilezza in azienda, o divulgo il giornalismo costruttivo in un'epoca in cui la narrazione è polarizzata e distruttiva, o provo a far capire che empatia digitale non vuol dire vendere di più ma entrare in connessione con le persone.
(Cercate l'hashtag #empatiadigitale e finirete tra le braccia di chi vi racconterà come convincere le persone ad acquistare da voi).
Qualche anno fa, la sera prima di una formazione a un gruppo di manager, ci siamo ritrovati a cena con i partecipanti e gli organizzatori. Ho condiviso le mie riflessioni con uno di loro. La sua risposta è stata incredibilmente utile per me. Te la riassumo così:
non chiederti se qualcuno sarà d'accordo o meno, non è quello che conta. Abbiamo tutti il compito di piantare dei semi. Qualcosa di solito accade.
Abbiamo tutti il compito di piantare dei semi.
Potenti queste parole.
Lo sono proprio nella loro semplicità. Il concetto mi era chiaro da tempo per la verità, ma sarà stato l'Aglianico bevuto a tavola o il paesaggio della notte, di fatto ha avuto un forte impatto sulla mia mente. E comunque, siamo sinceri, stiamo qui tutti i giorni a dirci che dobbiamo seminare il buono, l'utile, il valore. Ma poi lo facciamo?
Quante volte siamo davvero disposti a metterci in gioco?
Non esiste altra specie, sulla Terra, che sappia condividere come sappiamo fare noi esseri umani. Siamo bravi in questo. Così bravi da poter far la differenza nella vita di altri. Tutto ciò di cui godiamo oggi è frutto di una proficua circolazione delle idee. Questa capacità di condividere ciò che apprendiamo ci consente di stabilire il prossimo passo verso l’evoluzione.
Condividere significa dividere con altri qualcosa che ci appartiene e che fa parte della nostra storia personale. Possiamo parlare di uno scambio consapevole e costruttivo.
Lo facciamo da sempre: cibo, veicoli, invenzioni, scoperte, territori, costumi, tradizioni, giochi, ideali, lingue, passioni, religioni.
Si progredisce assieme, non ognuno per conto proprio.
Prima era un fuoco, poi una tavola imbandita. Oggi sono le piattaforme digitali. (Sebbene l’invito sia tornare di tanto in tanto al fuoco e alla tavola imbandita).
Le ragioni che spingono alla condivisione identificate negli ultimi anni sono principalmente tre: facilitare lo scambio d’opinione; definire sé stessi rispetto al resto del mondo; aumentare e intensificare le relazioni professionali e umane.
Uno studio americano condotto nel 2004 da K. Y. A. McKenna e dallo psicologo sociale J.A. Bargh, definisce la rete come uno strumento di auto esplorazione e di ridefinizione della propria identità. In pratica, condividendo esprimiamo aspetti della nostra personalità che spesso non riusciamo a esprimere nella vita quotidiana e ci arricchiamo con le interazioni delle altre persone.
Un altro studio, curato dal The New York Times Customer Insight Group, ha rilevato 5 motivi che spingono le persone al social sharing:
La condivisione come espressione naturale di sé: condividere pensieri ed emozioni è parte integrante della nostra natura sociale, amplificata dai social media che ci permettono di farlo in tempo reale.
Trovare appartenenza attraverso il digitale: la condivisione online non è solo un modo per esprimersi, ma anche per sentirsi accettati e parte di una comunità.
Autostima alimentata dal consenso: le interazioni positive sui social rafforzano l’autostima, creando un ciclo di gratificazione che spinge a condividere di più.
Costruire un’identità ideale online: attraverso la selezione dei contenuti condivisi, gli utenti presentano una versione di sé stessi che riflette ciò che desiderano essere.
Informarsi e connettersi attraverso il social sharing: condividere notizie e contenuti sui social è un modo per restare coinvolti e aggiornati, trasformando le piattaforme in fonti primarie di informazione.
Tu che tipo di social sharer sei?
C’è un altro studio: “The Psychology of Sharing” sempre del New York Times. Ha definito 6 tipologie di social sharer:
Altruisti: persone riflessive e affidabili che condividono contenuti utili per gli altri. Sono collaborativi, attenti e sempre connessi, con l'obiettivo di offrire valore e supporto.
Boomerang: esperti del mondo digitale, condividono qualsiasi cosa possa suscitare una reazione, cercando conferme attraverso commenti e condivisioni altrui. Spesso utilizzano i social per scopi professionali e tendono a essere reattivi, a volte provocatori e polemici.
Selettivi: condividono contenuti di nicchia con moderazione. Non sono molto attivi online, ma quando pubblicano, si tratta quasi sempre di contenuti di alta qualità. Sono ingegnosi, attenti e seri, prediligendo informazioni di valore.
Hipster: creativi e influenti tra le loro connessioni, spesso giovani, danno grande importanza all'immagine che proiettano sugli altri. Condividono contenuti eleganti e curati, capaci di riflettere al meglio la loro personalità. Sempre attenti alle ultime tendenze.
Carrieristi: utilizzano la condivisione per rafforzare la propria rete professionale e intrattenere contatti nel mondo degli affari, con l’obiettivo di costruire opportunità di crescita lavorativa.
Connettori: creativi, rilassati e riflessivi, usano la condivisione per creare momenti di aggregazione anche nella vita reale. Prediligono le interazioni pianificate, amano comunicare via e-mail cercando sempre di favorire legami sociali.
Non condividere è un atto di egoismo.
Mentre stiamo lì a dirci che non vogliamo utilizzare i social network per raccontarci perché non amiamo parlare di noi, finiamo per darci in pasto al nostro stesso egoismo. Stiamo privando il mondo dei doni che possiamo offrire noi.
La condivisione, quindi, è un atto di generosità.
L’umanità merita di progredire sulla base della propria condivisione. Insieme, ognuno con la propria esperienza e con il proprio sapere, possiamo generare il progresso concreto. E ora la domanda chiave da cui partire per aprire un'altra riflessione.
Cosa ci da fastidio delle condivisioni altrui nell'universo digitale?
Solitamente le risposte sono tre:
Tutti parlano di loro stessi: si vantano dei successi. Io non sono così.
Ognuno racconta quello che vuole senza essere in effetti utile. Non ne capisco il senso.
Tutto troppo patinato. La vita mica è così perfetta.
Ora, io non ho una ricetta magica da darti, però una cosa voglio scriverla: se una o più di queste risposte sono quelle che daresti c'è solo una scelta da fare. Andare controcorrente. Solo così potremo offrire al mondo quei doni che rischiamo di tenere per noi per un eccesso di critica o per paura del giudizio.
Essere diversi da quel che c'è, oggi, è una opportunità.
Possiamo avere più fiducia in quello che pensiamo di poter dare. Possiamo puntare sulle nostre imperfezioni di essere umani, sull'utilità dei contenuti per gli altri, sull'esperienza che abbiamo fatto e sulla logica del "parlo a loro e non di me" che si chiama umiltà.
Ti lascio con le parole dell'etologa e antropologa Jane Goodall dall'alto della sua saggezza di 90enne (sì, è la donna che ha abbracciato il Gorilla!):
"Ogni individuo conta. Ogni individuo ha un ruolo nel giocare. Ogni individuo fa la differenza".
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