Ci sono profumi nell’aria che mi piacciono molto in questo periodo.
A volte quello della nebbia, come questa sera mentre scrivo. Altre volte quello zenzero, entrando nei negozi. Altre ancora l’aroma di burro e zucchero, nelle pasticcerie e in qualche casa.
Mia mamma si sta già organizzando con gli struffoli, tipico dolce natalizio campano che produce con le sue mani per più o meno tutto il palazzo, amici e amici di amici.
Il Natale si riconosce anche dai profumi.
Qualche giorno fa sono stata all’Ospedale Pediatrico Buzzi di Milano con un gruppo di autrici italiane per l’iniziativa “Parole d’amore” ideata da Stefania Nascimbeni. Abbiamo portato in dono i nostri libri e ci siamo fermate a leggere le favole della buonanotte ai bambini e alle bambine che si trovano lì in questi giorni. (Con gli adolescenti abbiamo chiacchierato. Le storie proprio no, non le hanno volute).
Camminando per i corridoi dell’ospedale ho notato i colori accesi, quei dettagli che vogliono fare sentire meno la pesantezza del luogo. Almeno visivamente. Ho visto volti accoglienti e sorridenti del personale e dei volontari e volontarie. Ho ritrovato piccole sfumature di umanità.
Ma no, i profumi di questo periodo, quelli non c’erano.
Questo mi ha fatto pensare a lungo.
Nella mancanza si cela la percezione di ricchezza. Me lo ha insegnato la gratitudine. Credo che in questi giorni ognuno di noi potrebbe cogliere l’opportunità di fare un salto nell’esistenza di qualcun altro. Per conoscere meglio cosa sente, cosa vede, cosa ascolta l’altra persona.
Quella sera, i nostri sorrisi e le nostre storie hanno reso più lieve il momento del riposo dei bambini e delle bambine così come delle loro famiglie. Ma il dono più grande credo sia stato fatto a noi:
è più difficile lamentarsi delle piccolezze quotidiane quando si vivono esperienze di questo tipo.




Riccioli neri, passione per la storia e per le serie tv.
Il primo bambino che conosco, M., ha i riccioli neri, un anno e la gambina ingessata per un’infezione all’osso. È in ospedale da una settimana con sua mamma. Hanno origini peruviane. M. mi guarda con degli occhietti vispi. Vuole toccare il mio cappello di Babbo Natale. Riesco, di tanto in tanto, a distrarlo con le immagini del libro “Le Avventure Di Pulcino” di Giraldi Editore che ho con me. La mamma intanto mi racconta che a casa ha altre due bambine che sono con il papà: le mancano. Non sanno quanto tempo ci vorrà per uscire. Ma il piccolo sta meglio.
S., 14 anni, nello stesso giorno ha fatto una gastroscopia e una colonscopia. Ama la storia contemporanea. Anzi no, è l’unica cosa in cui si immerge per leggere, scoprire, conoscere. Passione pura. Ha le idee chiare: vuole andare all’Università, diventare uno storico ma fare tutto questo fuori da Milano. Magari da qualche parte al Nord, più vicino alla montagna. I suo genitori sono in camera con lui: sperano di poter andare a casa quella sera stessa. Sono sorridenti, sereni. La maschera migliore per rassicurare un figlio.
Una ragazzina di circa 14 anni cammina per il corridoio e incrocia il mio sguardo. Ci salutiamo e mi dice: “la storia no, stasera mi guardo una serie TV”. Lo sa, ogni sera ci sono volontari e volontarie che dedicano tempo a queste giovani anime. Mi sorride, gli occhi grandi le illuminano il viso sereno. Le dico che va bene così e le auguro una buona serata.
Ferruccio, il responsabile dei volontari, ci accompagna da una stanza all’altra. Quando le trova vuote dice con rammarico: “nemmeno qui c’è qualcuno”. E mi viene subito da affermare: “che bello!”. Lui mi guarda e spiega il suo tono dispiaciuto: “eh ma così non potete leggere le storie”. Vero, Ferruccio, ma sapere che sono vuote, queste stanze, mi rasserena: un po’ di sofferenza in meno.
Se solo riuscissimo…
Dal 2012 ho scelto di fare un percorso nella gratitudine del tutto personale che poi è sfociato in qualcosa di più. Libri, formazioni, eventi, consulenze. Oggi vado nelle aziende e aiuto professionisti e professioniste ad attivare la comunicazione empatica e della gratitudine. Ogni volta tocchiamo delle corde profonde che risvegliano l’essenza umana delle persone. Ed è bello osservare cosa accade quando ci riconosciamo.
Siamo così abituati a camminare nella nostra vita in modo distratto che abbiamo bisogno di un giro tra i corridoi di un ospedale per bambini o di qualcuno che ci tocchi proprio lì, dove abita la nostra fragilità. Sì, abbiamo bisogno di queste esperienze per ricordarci di quanto, in realtà, possiamo celebrare e gioire.
La felicità è una cosa complessa, altroché.
Davvero non possiamo fare uno sforzo in più per ringraziare quel collega o quella collega?
Davvero ci viene così difficile provare a scrivere delle mail più calde, umane, curate?
Davvero scegliamo di stare a testa basta e chattare con un collega o una collega invece di alzarci e andare alla sua scrivania per dire “beviamo un caffè”?
Davvero vogliamo stare nel disagio provocato da una relazione distratta o faticosa invece di provare ad agire?
La gratitudine è quella cosa che spesso ci fa dire “ah sì, certo, è importante. Ma sai poi, chi ha tempo!…”.
Come se servisse del tempo per sorridere, ringraziare, riconoscere: sono attitudini, non azioni. Sono scelte.
La gratitudine è la madre di tutte le virtù.
Cicerone
Il sentimento di gratitudine si attiva in modo molto semplice. Ed è questo il motivo per cui è a rischio di dimenticanza.
Tempo fa una persona che ho intervistato mi ha detto: “non mi aspetto mai nulla dalla vita, così riesco a sorprendermi più spesso”. Ne faccio tesoro da allora.
Non era questo ciò di cui volevo scriverti oggi.
Ma è andata così. Spero di averti lasciato qualcosa, là nel tuo profondo.
Assunta
PS: Delle immagini della serata all’Ospedale Buzzi mi è rimasta nel cuore questa
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