Ciao! Giovedì pomeriggio e sono di nuovi qui a scriverti.
Questa mattina durante un corso con l’Ordine dei Giornalisti del Molise sul “Personal branding umano” ho detto che spesso mi ritrovo a scrivere questa newsletter il mercoledì o giovedì pomeriggio. Un tempo mi creava disagio questo last minute, in realtà ho capito che per me è importante arrivare a te con qualcosa che ho davvero sentito dentro la pancia nei 7 giorni precedenti. Da quando l’ho accettato è tutto più fluido.
E umano, nel senso di onesto.
Quindi cosa è successo mercoledì sera? Ho sentito ancora una volta quella gratitudine che ti resta addosso, sotto pelle, e che torna a galla anche mentre scrivo queste righe. Il mio editore, Do it Human, ha compiuto dieci anni. Un compleanno speciale, che è sembrato più un rito collettivo che una celebrazione privata.
Dieci anni di editoria indipendente non sono scontati. Sono un gesto d'amore verso le parole, una scelta. Questo è il tempo della velocità in cui ci si stupisce quando si ritrova l’umanità autentica. La casa editrice fondata da Diego Leone e Alberto Manieri ha scelto di pubblicare libri che nutrono per custodire un altro modo di stare al mondo.
E io sono felice di poter dire di appartenere a questa famiglia editoriale con ognuna delle pagine che ho scritto negli ultimi 10 anni. Il loro primo libro, sai, è stato Dire, Fare … Ringraziare. Un gioiellino a cui siamo molto affezionati.
Poi, ci sono i puntini che non vedono l’ora di unirsi con buona pace di Steve Jobs. E allora ecco qui che mi viene in mente di dedicare la newsletter di oggi alla parola rispetto. (Sì, c’entrano i temi della maturità ma ci arrivo fra poche righe).
Il rispetto si manifesta anche così: nel riconoscere chi crede in te quando le idee sono ancora bozze, nel tenerti la mano mentre prendi forma, nel darti spazio senza stravolgerti. È un camminare insieme che non forza, ma sostiene. Che non guida, ma affianca.
Se hai voglia di nutrire anche tu questo tipo di umanità applicata, ti invito a scoprire i libri pubblicati da Do it Human in questi dieci anni: sono semi di pensiero, piccoli atti di resistenza gentile e grandi abbracci al lettore.
Rispetto
Maturità 2025: il tema. La seconda traccia della tipologia B della prima prova - testo argomentativo - è sul tema del "Rispetto" ed è incentrata su un articolo del giornalista di Avvenire, Riccardo Maccioni, che appartiene alla rete del Constructive Network che ho fondato (e sì, te lo dico con orgoglio).
Notizia di ieri, il giorno dopo la prova di esame, è che il 40,3% dei maturandi ha scelto proprio questa traccia. Quasi un plebiscito, dato che la seconda scelta (la traccia sull’indignazione quale motore dei social, di Anna Meldolesi e Chiara Lalli), ha totalizzato il 15,4% delle preferenze. Al terzo posto (13,6%) il testo “I giovani, la mia speranza” di Paolo Borsellino. Sono seguiti il testo di Brendon sugli “Anni Trenta, il decennio che sconvolse il mondo” (12,8%) e il tema dell’Antropocene e dell’impatto dell’uomo sull’ambiente di Telmo Pievani (8,2%). In pochi hanno scelto l’analisi letteraria che prevedeva Pier Paolo Pasolini e Tomasi di Lampedusa.
Mi sono chiesta se i nostri ragazzi e le nostre ragazze non abbiano voglia di costruzione, di relazione.
Il rispetto non urla
Nel suo editoriale, Riccardo Maccioni scrive che il rispetto "esprime attenzione, gusto dell’incontro, stima". Ed è vero: ha un tono basso, quasi sottovoce, ma proprio per questo riesce ad arrivare più lontano. Anche quando introduce un dissenso, lo fa in punta di piedi. Non per debolezza, ma per scelta.
Viviamo in tempi in cui la comunicazione è spesso compressa in uno slogan, in una battuta, in un post che deve colpire. Eppure c’è ancora chi sceglie parole che uniscono invece di asfaltare. Chi sceglie la cura invece della fretta. Chi decide che ogni parola può essere uno spazio di incontro.
Rispettare è riguardare
“Rispettare è riguardare. Un atto di responsabilità e consapevolezza che ci invita a rallentare e accorgerci dell’altro.” Il rispetto deriva dal latino respicere: guardare indietro, guardare di nuovo. E questo ci invita a rallentare. A non giudicare subito. A lasciare spazio alla complessità dell’altro. In un’epoca che ci spinge all’immediatezza, questa è una forma di gentile ribellione. Guardare meglio, due volte, è un atto di responsabilità e di consapevolezza.
Come ci ricorda la Treccani – che ha scelto rispetto come parola dell’anno 2024 – questa parola va oggi rivalutata e usata in tutte le sue sfumature. Perché «la mancanza di rispetto è alla base della violenza esercitata quotidianamente nei confronti delle donne, delle minoranze, delle istituzioni, della natura e del mondo animale».
Le parole come cemento
Scrive ancora Maccioni: le parole possono essere pietre, ma anche cemento. Possono distruggere, è vero. Ma possono anche tenere insieme. Possono diventare colla nelle relazioni che scricchiolano. Possono essere fondamento, se scelte con cura.
Non è retorica: ognuno di noi ha la responsabilità del proprio linguaggio. Anche quando scriviamo una semplice email, anche quando commentiamo un post. La mancanza di rispetto verso le persone, le istituzioni, la natura, come ci ricorda l’articolo, inizia spesso da una parola trascurata.
Contro l’indifferenza
Nello stesso articolo si legge che tra i contrari del rispetto ci sono parole che feriscono più dell’odio: indifferenza, noncuranza, sufficienza. Termini silenziosi, apparentemente innocui, ma che corrodono le relazioni. Perché dove non c'è sguardo, non c'è relazione. E dove non c'è relazione, è più facile ferire.
Allenarsi al rispetto significa allenarsi a guardare, a esserci davvero. Significa ricordarsi che ogni volta che scegliamo le parole, stiamo scegliendo anche come vogliamo abitare il mondo.
Un gesto di speranza
Che questa parola sia stata scelta da quasi la metà dei maturandi è un segnale potente. Forse abbiamo bisogno, oggi più che mai, di tornare a quella semplicità che non è semplificazione. Di parole che contengano, che accolgano, che includano.
Come scrive Maccioni, rispetto è rivendicare relazioni autentiche, libere dalla banalità. E non può che partire da qui: da ciò che scegliamo di dire, di scrivere, di condividere.
Ne abbiamo parlato anche qui, dell’Oxford Dictionary che ha scelto brain rot come parola dell’anno. Voleva descrivere quel deterioramento mentale provocato da un consumo eccessivo di contenuti banali e disconnessi dalla realtà, consapevolezza che fa nascere un’urgenza. Quella di riscoperta delle parole che ci riportino al contatto, al pensiero, all’incontro.
C'è un modo per non far marcire il cervello
So cosa stai pensando (o forse no!), ancora una volta in ritardo con la newsletter. Ma ho una notizia bomba che stavo aspettando. Eh sì, ho ritardato anche per questo. Non volevo che tu lo sapessi dopo le altre persone.
Allo stesso tempo, il Cambridge Dictionary ha selezionato manifest come parola simbolo del 2024, spiegandola così: «Immaginare di realizzare qualcosa che si desidera, nella convinzione che così facendo si aumenteranno le probabilità che ciò accada».
Ho come la sensazione che tutto guardi nella stessa direzione. O almeno che ci sia un invito da cogliere.
Parole come specchi
In questi giorni ho pensato spesso al rispetto come al più invisibile degli atti rivoluzionari. Non fa rumore, non genera polemica. Ma cambia tutto. Cambia il tono di una conversazione, l’esito di un conflitto, il modo in cui leggiamo l’altro.
Ogni parola rispettosa è una dichiarazione di intenti: voglio costruire, non abbattere. Voglio restare umano.
In Empatia Digitale ho scritto che le parole non sono solo strumenti: sono specchi. Riflettono chi siamo e cosa stiamo coltivando dentro di noi. Ogni parola rispettosa che scegliamo di usare – anche nel silenzio di una mail, anche nel cuore di un confronto difficile – è una dichiarazione di intenti: voglio costruire, non abbattere. Voglio restare umano, anche quando potrei rispondere con durezza.
Non è questione di forma. È questione di visione. Il rispetto è un esercizio quotidiano che ha a che fare con la responsabilità, con l'umiltà, con l'autenticità. Tutti temi che tornano ciclicamente in chi sceglie di comunicare con consapevolezza. Perché alla fine, ogni nostro contenuto è una scelta di posizionamento: stiamo scegliendo come vogliamo abitare il mondo.
E se c'è una cosa che continuo a imparare, ogni giorno, è che il rispetto non è mai tempo perso. È sempre tempo seminato.
Ti leggo,
Assunta
Ps: E a proposito di rispetto, di ragazzi e ragazze, di scelte. Ho girato un reel sulla scelta di proibire il cellulare in classe. Se ti va di guardarlo: