Non l'ho fatto da sola
Appunti sparsi su cosa significa co-creare, ascoltare e resistere insieme
Buon venerdì! E che venerdì!
Mentre scrivo sono a casa, è la mattina di giovedì: su Radio Deejay Fabio Volo sta citando Gurdjieff e il suo invito a farsi domande invece di camminare addormentati in questa vita. Mi fermo e sorrido, sembra un invito, una conferma, un messaggio.
Mentre tu leggi dove sei? Che domande ti girano nella testa? Quali stimoli ti accendono la vita?
In questo tuo momento probabilmente io sono ancora in treno verso Roma. 9 maggio: terza edizione del Constructive Day, la giornata di formazione e networking del Constructive Network che è nato in me - proprio da una domanda - nel 2019. Eravamo 7. Oggi siamo 255 giornalisti e giornaliste da tutta Italia. E in questa giornata in particolare una parte di noi sarà insieme in un’unica sala: 75 sedie su cui si appoggeranno altrettante esistenze.
Non sono molto a mio agio con i numeri ma questi mi emozionano. Hanno una storia e portano un carico di riflessioni che ho voglia di appoggiare qui, nel nostro appuntamento settimanale.
Fuori piove. Il cielo è grigio mentre scrivo. Ma il mio domani - che per te è oggi - è pronto ad accogliere farfalle danzanti nello stomaco. Sono quelle degli innamoramenti.
Prendersi cura è un verbo esigente
Negli ultimi mesi mi sono accorta che costruire un network è un’espressione fuorviante. Non si costruisce e basta. Ci si prende cura. Ogni giorno. Un gesto alla volta. Un messaggio agli orari più improbabili. Una telefonata che non ti aspetti. Una parola detta con attenzione.
Prendersi cura è un verbo che non fa rumore ma lascia tracce.
Ci sono stati momenti, lo confesso, in cui ho pensato che non sarebbe bastato. Coltivare una rete professionale pioniera del giornalismo costruttivo in Italia non è stato un cammino privo di ostacoli. Ci sono stati momenti in cui la mia visione veniva sottovalutata o fraintesa. All’inizio parlare di giornalismo costruttivo suscitava qualche sopracciglio alzato: “notizie positive?” mi chiedevano con scetticismo, come se fosse sinonimo di ingenuità. Alcuni colleghi faticavano a capire perché insistere su questo approccio: eravamo abituati a un giornalismo di denuncia, dove mettere in luce solo i problemi era la norma.
Ho imparato che una visione nuova, all’inizio, può sembrare solitaria.
Mi sono sentita spesso come una voce fuori dal coro, a spiegare che essere “costruttivi” non significa ignorare i problemi, ma aggiungere un pezzo fondamentale: la possibilità di soluzione, di miglioramento.
Nei momenti più difficili, mi sono aggrappata a poche convinzioni semplici e alle persone che stavano camminando con me.
Ho capito che la diffidenza è naturale quando si propone qualcosa che esce dai binari. Non si può forzare. Serve tempo. Serve fiducia. Serve coerenza. E anche la capacità di aspettare.
Pazienza.

Le cose che non si vedono
La parte più difficile, finora, è stata generare senso di appartenenza. Non bastano le riunioni, i canali, i contenuti. Un gruppo di condivisione si tiene insieme se le persone sentono che possono contribuire, essere ascoltate, contare. E questo non si ottiene con strategie. Si ottiene solo restando presenti. Anche nei momenti in cui sembra che tutto si stia disperdendo. Nonostante gli errori e con la consapevolezza che qualcuno se ne andrà. (Su questo tema dell’andarsene ho letto un post illuminante di Sebastiano Zanolli su Linkedin).
Ricevere ogni giorno decine di messaggi dai colleghi è un privilegio e una responsabilità. Leggo le parole che raccontano tentativi, articoli scritti con cura, frustrazioni professionali, desideri di cambiare qualcosa. C’è una sete profonda di senso nel nostro mestiere. Una fame di ascolto. E quando qualcuno dice “non sapevo che altri la pensassero come me”, so che il lavoro del network ha avuto un senso.
A volte penso che il nostro mestiere – quello dell’informazione, della comunicazione – abbia bisogno più di spazi in cui ritrovarsi che di nuove definizioni. E che forse il cambiamento non inizia da grandi teorie ma da piccoli mondi in cui ci sentiamo visti.
L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità. A pochissimi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono.
Simone Weil
E poi c’è la fatica di una quotidianità che si insinua nelle mille altre attività da svolgere. Richiede uno sforzo in più che si chiama programmazione e organizzazione. Va imparata anche questa, eccome!
E ancora, quell’istinto così innato in ognuno di noi di badare solo al nostro orticello, senza occuparci di cosa possa esserci nel terreno altrui. Non siamo cattivi, siamo disegnati così. Smettere di farlo e porsi domande sull’altra persona richiede una scelta consapevole che va interiorizzata affinché non possa disturbarci.
E quindi, per dirla in breve cosa ho imparato dal 2019 a oggi che possa essere utile anche a te?
La partecipazione non si chiede, si coltiva.
Inizialmente pensavo che bastasse invitare le persone a esserci, a proporre, a contribuire. Poi ho capito che prima viene la sicurezza. Se chi è nel tuo team non si sente libero di esprimersi, non parteciperà davvero. Serve creare uno spazio psicologicamente sicuro, anche informale, anche imperfetto, in cui ogni voce possa contare. Su questo ho ancora molto da imparare.Le decisioni condivise rallentano il processo, ma accelerano l’appartenenza.
Prendere decisioni da sola è più veloce, ma se non c’è coinvolgimento, resta tutto fragile. Quando un’idea nasce da più menti e prende forma nel dialogo, anche chi l’ha solo sfiorata si sente parte del risultato. E questo cambia tutto.Essere presenti è più importante che essere brillanti.
Ho smesso di pensare che dovessi “impressionare” la mia rete. Quello che conta, per chi guida un gruppo, è esserci nei momenti in cui serve. Anche con un semplice: “come stai?”. Anche solo leggendo davvero quello che l’altro scrive, in modalità ascolto attivo.
Qualcuno mi ha chiesto perché l’evento annuale del Constructive Day non sia anche in streaming. Non si possa vedere da qualche parte in questo mondo digitale.
Ho solo una risposta.
Perché abbiamo un travolgente bisogno di guardarci negli occhi e far incontrare i nostri corpi. Fino a che stiamo seduti davanti a uno schermo non lo capiamo, poi però accade e ci accorgiamo di quanto sia necessario e vitale.
Se non ci vediamo a Roma, allora oggi vai, esci e incontra.
Emozionati.
Assunta